Il Tribunale del lavoro ha confermato la linea espressa nelle settimane scorse dal giudice cautelare di Velletri, disponendo la riammissione al lavoro della dipendente della Asl in virtù della rilevanza costituzionale dei diritti compromessi.
La sentenza pubblicata il 14 dicembre spiega che "non è possibile discriminare tra interesse sanitario e altri settori, e neppure tra chi non vuole (ed è il caso dell’infermiera in questione) o non può vaccinarsi, perché i rischi per la salute pubblica sarebbero i medesimi".
L’unica clausola imposta dal magistrato è infatti quella di garantire che vi siano «adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura» al fine di «tutelare la salute pubblica». Clausola che a quanto pare può essere soddisfatta, avendo a che fare con «una grande azienda che sicuramente avrà mediamente scoperture di organico e, comunque, assenze per malattia, aspettativa o ferie». Inoltre il giudice aggiunge che, ad esempio, un compito amministrativo da svolgere in smart working sarebbe il miglior modo «per assicurare il fine voluto dal legislatore», ossia quello di ridurre il rischio di contagiarsi.
Si tratta di un modus operandi che il legislatore ha già reso possibile per chi non può vaccinarsi, motivo per cui potrebbe palesarsi una discriminazione tra chi non vuole sottoporsi alla vaccinazione e chi è impossibilitato a farlo. «Questa discriminazione è costituzionalmente facilmente superabile dall’interpretazione perché l’interesse che è costituzionalmente prevalente è quello della salute pubblica, la quale è messa a rischio ugualmente dal soggetto non vaccinato a prescindere dal fatto che non si sia voluto vaccinare o non si sia potuto vaccinare».